
Ah sei morto? Ops, gaffe.
Lo so che non ci conosciamo e non è affatto carino da parte mia intrallazzare su tue presunte défaillances sessuali. Please allow me to introduce myself, come canticchiava il buon Mick Jagger, in “Sympathy for the Devil”. E la citazione pietrarotolante non è a caso, visto che questo tuo racconto è impregnato di puzza di zolfo dell’antico serpente tentatore. Sono un lettore attualmente invischiato nella letteratura weird e sono inciampato sul tuo racconto “Il grande dio Pan” dopo aver letto “Malpertuis” di Jean Ray. Devo ammetterlo, satanasso del mio Arthur Machen, sai come corteggiarlo un lettore. Incipit come il tuo se ne leggono pochi.
Due scienziati più fuori di testa del Dott. Frankenstein e del Dott. Stranamore ubriachi insieme alla festa di fine anno del liceo, che effettuano un esperimento su una giovane donna, per attivarle una parte del cervello in grado di far sparire la barriera tra mondo spirituale e mondo materiale. Aspetta un attimo, questa cosa mi ricorda qualcosa. Ah sì la ghiandola pineale di cartesiana memoria. Vabbè ma chi se ne frega.
Dopo l’operazione, la poveretta riesce a vedere il dio Pan e l’orrore che ne prova le incasina la testa, come una scatola di fiammiferi agitati, al punto che la disgraziata finisce per diventare una crasi tra un tronchetto dell’infelicità ed un involtino primavera terrorizzato, costretta com’è a passare il resto dei suoi giorni a letto con gli occhi sbarrati del terrore e non per le trasmissioni di Barbara d’Urso. Wow. Sì, proprio wow. Così si inizia una storia. Please allow me to introduce Pan, per chi sta sbirciando questa nostra chiacchierata weird. Per te, caro il mio Arthur Machen, Pan è sì il vecchio buontempone del pantheon latino, quello che rappresentava la vitalità e l’unione con la natura ed il creato, ma ci hai messo quella spolverata di buio di divinità celtica “Nodens”, il Nume dell’Abisso, che lo ha reso la fototessera del diavolo cristiano.
Risultato? Un tenebroso in grado di far impazzire chi lo incontra, fino ad indurlo all’autodistruzione. Un po’ quello che desideri quando ti rendi conto che quel bastardo del venditore ti ha fatto firmare rate eterne per un’aspirapolvere inutile: autodistruzione! Hai fatto diventare Pan, da emblema del werid, cioè del contatto con la meraviglia e l’insolito, ad una specie di filo della corrente scoperto: chi lo tocca rimane fulminato e si riduce in cenere, dopo aver sofferto anzichenò.
Che finaccia. Chi te lo doveva dire, Povero Pan? Me lo ricordavo così allegro e sempre arrapato e tu, caro il mio Arthur Machen, l’hai dipinto incazzato e mortifero. Ma bene lo stesso, caro il mio Arthur Machen, l’hai reso un personaggio interessante, che non vedo l’ora di conoscere e tanto mi basta. Dopo l’incipit bum bum, dai la stura a delle ellissi narrative, dei salti temporali, che portano uno dei due scienziati ad avere a che fare con misteriose morti, tutte da attribuire, dai referti medici, a spaventi sovrumani subiti dalle vittime, peggio di quando ti arriva una cartella esattoriale da Equitalia. E da questo momento, nella partitura musicale del tuo racconto appare il basso giallo della storia d’investigazione, ma una detection un tantino annacquata, dato che mi hai fatto capire subito chi sia l’assassino e come hanno tirato le cuoia i poveri malcapitati.
Non mi resta che scoprire i dettagli, giusto per il gusto di completare il puzzle. Continuo a leggere con l’unico obbiettivo di vedere finalmente Pan, in “corna e ossa”, che non è comunque una robetta da tutti i giorni. Una volta ho visto Antonella Clerici dal vivo, ma non so se sia proprio la stessa cosa. E dai dai dai. Che cosa succede a vedere Pan dritto negli occhi, senza occhiali da saldatore? A quando l’esplosione nucleare? Dai fai morire di paura un po’ anche me, caro il mio Arthur Machen. E invece ecco il tuo problemino idraulico: l’eiaculazione precoce. In cambio della mia attenzione e del tempo passato a leggere, tu che come mi gratifichi? Mi spieghi che Pan non può essere descritto. Roba da strapparmi quei due capelli che mi sono rimasti in testa. Tanto rumore per nulla, per finire nella pozzanghera misera di uno spiegone. Simili forze non possono essere nominate, non possono essere descritte o discusse, né immaginate, se non celate da un velo a da un simbolo, un simbolo che appare a più come un’eccentrica fantasia poetica, e ad altri come una storia priva di senso.
Fonte: Christian Lamberti – http://www.christianlamberti.com/biblioteca-del-crocevia/recensioni/il-grande-dio-pan-di-arthur-machen/ E no, non si fa così, caro il mio Arthur Machen.
Capisco l’eiaculazione precoce, ma mica devo essere io a rimetterci. Che schizzo da prete. Ehi un attimo. Chi è quel tizio che mi sta fissando da dentro l’iPhone? Chi è quel tipetto scuro in volto, con le zampe da capra? Ehi cos’è questo friccico n’er core? L’ictus alla mie età non mi pare il caso. Avviso a chi mi vuole un tantino di bene e sta leggendo questa mia capriola insensata. Accorrete con un portacenere, che mi sa che di me tra un po’ non rimarrà che un mucchietto di cenere. Il senso civico e la raccolta differenziata prima di tutto.