Quattro punti della creatività

Ogni storia è un conflitto, una guerra che va vinta con la creatività, ma come si fa ad usarla e a svilupparla?

Semplice, dando più ascolto all’emisfero destro del tuo cervello.

L’emisfero del cervello deputato alla creatività è quello destro, mentre il sinistro è quello logico.

Anche quando scrivi usi i due emisferi, perché ognuno di noi ha questi coinquilini in testa e bisogna convivere con entrambi, perché l’assenza di uno dei due ti fa non solo inceppare le storie, ma anche condurre una vita, diciamo così, un tantino bizzarra.

Come ad esempio Steven Smith del Kentucky, che da quando ha deciso di usare solo l’emisfero destro adesso passa le giornate a parlare con i manifesti pubblicitari.

Per rimettere in moto la creatività devi affidarti al pensiero creativo e in questo video ne analizzo quattro caratteristiche fondamentali che ti possono essere molto utili.

L’ombra del vento

“L’ombra del vento” di Carlos Ruiz Zafón è come il kiwi o il melograno.

Ti è mai capitato che ti pizzichi la bocca dopo aver mangiato qualcosa? A me succede con il kiwi e con il melograno. Li odio, eppure, una volta iniziato, non riesco a fermarmi.

Inizio a leggerlo, pieno di aspettative, perché mi fido di chi me l’ha consigliato.

Ok, l’incipit è carta moschicida: ormai sono incollato.

Bene così, Zafón.

Il set-up è all’osso, come piace a me, perché sono uno di quelli che toglie il grasso dal prosciutto.

Non si sbrodola in descrizioni urbanistiche del mondo del protagonista.

Bene così Zafón, qualcuno deve averti avvisato che non faccio l’architetto e di come è fatta Barcellona nel dettaglio non me ne frega quindi niente.

Bene così Zafón. Mi hai convinto, continuo a leggere.

Sembra “La tavola fiamminga”, di Arturo Perez Reverte, dove da un quadro che rappresenta una partita a scacchi, ricostruendo le mosse dei giocatori all’indietro si arriva a trovare l’assassino di un antico omicidio irrisolto, invece continuando la partita in avanti, si scopre l’assassino di un omicidio contemporaneo. Qui, invece della partita a scacchi, c’è il romanzo “Ombra del vento”, di cui non leggeremo mai una pagina, del misterioso autore maledetto Julián Carax.

Bene così Zafón, mi hai incastrato.

La prosa non è un gran che, ma il plot mi sta facendo giocare all’investigatore e questo mi piace anzichennò.

Non vorrei certo andare a pranzo con uno dei personaggi, come farei con qualsiasi personaggio di Landsdale, con cui mi ubriacherei fino a dimenticare per sempre la tabellina del sei, ma ci passo sopra.

‘Sto Julián Catax, di cui tutti si innamorano e per il quale tutti sono disposti a sacrificare la propria esistenza, anche frequentandolo per una settimana sola, non mi convince, ma va bene lo stesso, perché il plot va giù liscio di tensione ed aspettative ed il prezzo del biglietto vale il giro sulla giostra.

Cosa? Risolvi tutto con lo spiegone? Ma come, ho resistito fin qui per via del patto tacito che avrei scoperto io il Machiavello e tu, pigro di uno Zafón, mi risolvi tutto con una confessione a la Ispettore Derrick?

Però va bene anche così. Questa storia Edipo 2.0, perché la pietra angolare è una storiaccia di amori incestuosi ad insaputa di chi li vive, che si infiammano più rapidamente dei misteriosi incendi estivi, mi ha intrattenuto e mi ha attivato spesso l’algoritmo del “e poi che succede?”.

Quindi il giro sulla giostra vale il prezzo del biglietto.

Avanti il prossimo kiwi o melograno.

Sette punti del conflitto

Qual è l‘elemento principale che ti fa venir voglia di sapere come finisce una storia?

Il conflitto!

Il conflitto è la scintilla che nasce dall’urto di due volontà che hanno motivazioni valide, ciascuna dal proprio punto di vista.

Senza quella scintilla non esiste storia da raccontare, perché non divamperà mai il fuoco della narrazione. Il conflitto è la divinità maggiore di ogni narrazione, è il lievito madre, il motore di ogni storia che si rispetti.

Una storia è un passaggio di corrente, che deve accendere una lampadina, e

per accendersi, è necessario che ci siano dei punti con differenza di tensione e questi punti sono dei piccoli conflitti all’interno del grande conflitto che è la storia nella sua totalità.

C’è un modo per capire se la lampadina si accenderà?

Soffocare

Se mi posso permettere, ti scrivo qui come avrei impostato la quarta di copertina: “Stai cercando una terapia ad ogni forma possibile di felicità? Adori rimestare nel torbido e vedere i video su YouTube, dove si premono bubboni? Allora questo romanzo fa al caso tuo, perché ti prende per mano e ti porta in un viaggio alla constatazione metodica, analitica e dettagliata del nulla su cui siamo fondati.”

Chuck mi devi spiegare una cosa, però. Come hai fatto a farmi suonare così familiare un plot e dei personaggi così assurdi?

Forse lo so. Ci sono arrivato lasciando che la storia si depositasse nei diverticoli intestinali del cervello: adoriamo entrambi osservare l’abisso. Anche per questo siamo un po’ amici, vero?

Bravo Chuck, sei riuscito a parlare alla mia pigrizia ed infatti sono talmente pigro, che non mi va di spiegare la trama del tuo romanzo a chi ci sta sbirciando, quindi la riporto pari pari da Wikipedia.

Il sessodipendente e depresso Victor Mancini si guadagna da vivere come figurante in varie rievocazioni storiche in un parco ispirato all’America coloniale; inoltre per mantenere la madre, ricoverata in una costosa clinica, si inventa un modo bizzarro per guadagnare soldi: frequenta ristoranti esclusivi dove ad un certo punto finge di soffocare con un boccone, approfittando in seguito della generosità dei suoi salvatori. Quando non lavora come figurante si reca regolarmente alla clinica psichiatrica dove è ricoverata la bizzarra madre, divenendo un idolo per le anziane degenti che lo vedono come un nuovo Gesù. La dottoressa Paige Marshall, che ha in cura la madre, cerca di conquistare il cuore di Victor.

Fonte: Wikipedia

Victor Mancini, mi continua girare in testa, è proprio il caso di dirlo, come una mosca attorno alla merda.

Sarà perché Victor è una specie di agnello sacrificale a gettone? Una fermata a richiesta dell’autobus dello schifo?

Victor Mancini infatti si crede il figlio di Cristo, non solo per la febbricitante idea di essere il frutto di una maternità assistita tra gli ovuli della madre e il DNA ricavato dal sacro prepuzio del Messia, ma proprio perché si fa carico di tutto il marcio di chi gli capita a tiro, ma senza redenzione finale, che non sia il proprio tornaconto personale.

Da adesso Victor Mancini è il mio personal Jesus.

Fa parte di quei personaggi che esistono solo nell’abiezione, che sono nati per caricarsi il nostro schifo e sputarcelo in faccia ed è per questo che mi ha preso a calci nel culo la coscienza, fino a farmela atterrare goffamente sul maestro dei malati di se stessi, sul campione dell’arredamento della nullità, il buon caro Fëdor Michajlovič Dostoevskij, uno che l’abisso l’ha visto di persona, che stava per essere fucilato e all’ultimo momento si è sentito dire: «Dai scherzavamo. Ma che c’hai creduto davvero?»

Sono un uomo malato… Sono un uomo cattivo. Un uomo sgradevole. Credo di avere mal di fegato. Del resto, non capisco un accidente del mio male e probabilmente non so di cosa soffro. Non mi curo e non mi sono mai curato, anche se rispetto la medicina e i dottori. Oltretutto sono anche estremamente superstizioso; be’, almeno abbastanza da rispettare la medicina. (Sono abbastanza colto per non essere superstizioso, ma lo sono.) Nossignori, non voglio curarmi per cattiveria. Ecco, probabilmente voi questo non lo capirete. Be’, io invece lo capisco.

Memorie dal sottosuolo – Fëdor Michajlovič Dostoevskij.

Chuck mi hai fatto la stessa richiesta di Fëdor, di essere letto tutti d’un fiato, senza respirare, fino quasi a soffocare.

Chissà quanto durerà questa sensazione di essere come Victor Mancini, che per buona parte di questo romanzo, a causa dei suoi giochini erotici da sessodipendente, si dimena per il mondo con un oggetto infilato nel culo, perché teme che toglierlo, sarebbe più pericoloso che tenerlo.

Dimmi se ho capito bene, Chuck, “Soffocare” non è solo il risultato della sospensione dell’attività involontaria della respirazione, ma anche e sopratutto di ogni attività di giudizio morale, ormai diventata involontaria.

Mi hai regalato nuovi amici, Chuck. I personaggi ormai sono miei amici, aggrovigliati alle proprie umane troppo umane manie, accompagnati dal suono di basso continuo della tua risata marcia che, ne sono convinto, alla fine ci seppellirà tutti vivi.

Eppure, bastardo di un Chuck, alla fine di questo viaggio ai confini della morte, mi hai lasciato lo stimolo di provare comunque a vivere.

“Soffocare” non è per stomaco deboli.

Graditi militesenti e automuniti, ma soprattutto pochissima igiene personale.

Imparare a raccontare

Sei nel bel mezzo di un blocco creativo?

Non capisci perché la tua narrazione si sia inceppata e quindi come rimetterla in moto?

Quasi quasi molli tutto?

Lo so è frustrante. Per carità, fallire non è la fine del mondo e forse il successo non è altro che quella boccata di aria fresca tra un fallimento e l’altro.

Ma non è meglio ottimizzare le energie e ottenere l’obbiettivo, piuttosto che continuare a fallire?

Fortunatamente esistono delle tecniche per riparare una narrazione e per scrivere una bella storia.

Una storia è un meccanismo e come tutti i meccanismi, si può inceppare.

Cosa fa un meccanico quando una macchina non funziona? Smonta il motore, cerca il pezzo che non funziona, lo ripara, rimonta il motore e, se la macchina si muove di nuovo, ha raggiunto l’obbiettivo ed ottiene la ricompensa.

American Gods

Caro il mio Neil, non si seduce la gente così, per poi abbandonarla. Non è affatto carino.Mi hanno consigliato il tuo romanzo, perché dice che è fumettoso, quindi lo scarico di corsa ed inizio il viaggio.

Complimenti, incipit davvero bum bum! Shadow, il protagonista, esce di galera. Adoro le storie con i tizi che escono di galera. Se le strizzi come uno straccio, di solito riempiono secchi di sudore e vite sbagliate. Bene così.

Il sapore fumettoso arriva subito: Shadow riesce a comunicare con la moglie morta male, molto male, non prima di avergli lasciato in eredità un bel paio di corna da alce impagliata. E con chi gliele fa le corna? Con il migliore amico del marito. Continua così, ché sembra Scerbanenco strafatto di erba gatta, di quella buona.

La lettura scivola bene. Poco attrito fino a qui. Sull’aereo che lo riporta a casa, Shadow incontra un tipetto losco ed enigmatico anzichenò, che dal nome sembra un personaggio de “Le Iene”: Mister Wednesday. Il tizio gli propone un lavoro da factotum.

Da qui, caro il mio Neil, cominci davvero a caricare a molla la storia, perché rimanendo attaccati alla gonnella di Mister Wednesday, veniamo in contatto con alcune divinità dei pantheon più disparati, trasferitisi in America, come cavalli di Troia, dentro le storie degli immigranti. Un sottobosco di personaggi inquietanti, una versione freaks degli alieni di “Men in Black”, che vivono in mezzo ai mortali umani senza che questi se ne accorgano. Bellissimo modo di guardare l’ordinario attraverso l’extra-ordinario delle lenti affumicate fumettose. Bene così. La cosa mi gusta.

Caro il mio Neil, si sente che sei cresciuto a pane e fumetti e che sei arrivato anche tu in U.S.A. trasportato dalle storie. Se non mi ricordo male, fai parte della cosiddetta british invasion della DC Comics degli anni ottanta, giusto? Per chi non lo sapesse, la DC Comics è quella di Superman e Batman.

Ma c’è un “ma”, caro il mio Neil. Raggiunto circa il 30% della storia (ormai leggo quasi solo eBooks) comincia una salita così faticosa, che neanche un traslocatore di pianoforti mi può capire.

Va bene tenermi il più possibile all’oscuro dell’obbiettivo di Mister Wednesday, la tensione mi piace, ma se non me lo fai capire entro la fine fine del set-up, all’incirca verso il 15-20%, il secondo atto diventa faticoso da seguire. Ed infatti sei stato costretto ad inventarti un mini giallo, una storia nella storia, per sfangare il secondo atto e portare a casa la pagnotta.

Risultato? Sballottamento da perturbazione in aereo.

Un’eiaculazione trattenuta troppo a lungo, che si conclude con un orgasmetto non all’altezza di tanto ancheggiare.

Non parlo del finale, per non fare spoiler a chi ci sta sbriciando. Dico solo che, così come Shadow inganna il tempo facendo giochetti di prestigio con le monete, tu, caro il mio Neil, dal secondo atto in poi, hai tentato di intrattenermi con giochini da prestigiatore, in attesa di un trucco finale, che però non è stato altro che la stravista donna tagliata a metà. Delusione a secchiate.