“L’ombra del vento” di Carlos Ruiz Zafón è come il kiwi o il melograno.
Ti è mai capitato che ti pizzichi la bocca dopo aver mangiato qualcosa? A me succede con il kiwi e con il melograno. Li odio, eppure, una volta iniziato, non riesco a fermarmi.
Inizio a leggerlo, pieno di aspettative, perché mi fido di chi me l’ha consigliato.
Ok, l’incipit è carta moschicida: ormai sono incollato.
Bene così, Zafón.
Il set-up è all’osso, come piace a me, perché sono uno di quelli che toglie il grasso dal prosciutto.
Non si sbrodola in descrizioni urbanistiche del mondo del protagonista.
Bene così Zafón, qualcuno deve averti avvisato che non faccio l’architetto e di come è fatta Barcellona nel dettaglio non me ne frega quindi niente.
Bene così Zafón. Mi hai convinto, continuo a leggere.
Sembra “La tavola fiamminga”, di Arturo Perez Reverte, dove da un quadro che rappresenta una partita a scacchi, ricostruendo le mosse dei giocatori all’indietro si arriva a trovare l’assassino di un antico omicidio irrisolto, invece continuando la partita in avanti, si scopre l’assassino di un omicidio contemporaneo. Qui, invece della partita a scacchi, c’è il romanzo “Ombra del vento”, di cui non leggeremo mai una pagina, del misterioso autore maledetto Julián Carax.
Bene così Zafón, mi hai incastrato.
La prosa non è un gran che, ma il plot mi sta facendo giocare all’investigatore e questo mi piace anzichennò.
Non vorrei certo andare a pranzo con uno dei personaggi, come farei con qualsiasi personaggio di Landsdale, con cui mi ubriacherei fino a dimenticare per sempre la tabellina del sei, ma ci passo sopra.
‘Sto Julián Catax, di cui tutti si innamorano e per il quale tutti sono disposti a sacrificare la propria esistenza, anche frequentandolo per una settimana sola, non mi convince, ma va bene lo stesso, perché il plot va giù liscio di tensione ed aspettative ed il prezzo del biglietto vale il giro sulla giostra.
Cosa? Risolvi tutto con lo spiegone? Ma come, ho resistito fin qui per via del patto tacito che avrei scoperto io il Machiavello e tu, pigro di uno Zafón, mi risolvi tutto con una confessione a la Ispettore Derrick?
Però va bene anche così. Questa storia Edipo 2.0, perché la pietra angolare è una storiaccia di amori incestuosi ad insaputa di chi li vive, che si infiammano più rapidamente dei misteriosi incendi estivi, mi ha intrattenuto e mi ha attivato spesso l’algoritmo del “e poi che succede?”.
Quindi il giro sulla giostra vale il prezzo del biglietto.
Avanti il prossimo kiwi o melograno.