Federico II di Prussia, per gli amici «Il Grande», è la causa dell’espansionismo di Hitler, che come lui aveva in testa tre ossessioni maniacali, vale a dire:
- 1. la fissa per i cani;
- 2. la claustrofobia da spazio vitale (Lebensraum);
- 3. l’ansia da invasione della Polonia?
Nel piacevolissimo «Federico il Grande», edizioni Sellerio, Alessandro Barbero (sempre sia lodato) la domanda se la pone e se anche non arriva ad una risposta, comunque si interroga sul perché della «grandezza» del personaggio.
«Grande» per chi?
«Grande» non certo per i parenti, che se non fosse stato il sovrano, l’avrebbero volentieri rinchiuso in una stanza costringendolo a guardare per tutta la vita l’Eurovision Song Contest.
«Grande» non certo per alleati e nemici, perché lui stesso riteneva i trattati della semplice carta straccia.
«Grande» forse per i tedeschi, per aver iniziato la trasformazione della Prussia da terra di confine cavalier-teutonica a Stato che, soprattutto dopo la Guerra dei sette anni, si siede al tavolo dei grandi per decidere spartizioni territoriali, che neanche a Risiko e per aver fatto da enzima a quel patrio senso di appartenenza prussiano, che ben presto farà rima con «tedesco».
Forse l’orizzonte semantico dell’aggettivo «grande», in relazione a personaggi politici, aveva un’estensione diversa da quella che abbiamo ora?
Una cosa è certa, se Federico è stato grande è perché ha dato, nel bene o nel male, una svolta alla storia e con lui si deve quindi per forza fare i conti, cosa che lui stesso fece per tutta la vita, al punto di vedersi attaccata l’etichetta di «tirchio».